venerdì 14 maggio 2010

62 anni fa, la Nakba. Un deportato racconta l'espulsione dei palestinesi dalla loro terra.


Da Infopal.it

Gaza – Speciale Infopal. Sono trascorsi 62 anni dalla cacciata del popolo palestinese dalla Palestina, occupata nel 1948 dalle bande criminali sioniste c.

Esse uccisero e bruciarono tutto ciò che era palestinese, costringendo all’esilio e alla dispersione come “rifugiati” centinaia di migliaia di autoctoni: con il termine “Nakba (Catastrofe) palestinese” si indica quel che accadde allora a quelle persone.

Sul suo volto sono evidenti i segni dell’identità palestinese: le rughe segnano la ‘via del ritorno’, e dagli occhi, ogniqualvolta viene ricordata la parola “ritorno”, scendono lacrime che le vanno a riempire... Ecco il ricordo di una vita spezzata con l’emigrazione forzata del 1948, e la memoria rimasta sospesa tra il villaggio di ‘Aqir (ar-Ramla) e Gaza, la sede dell’esilio.


Ricordi del passato


A 62 anni fa risalgono i ricordi dell’ottuagenario Hasan Subhi Abu Rahma, rifugiato dal villaggio occupato di ‘Aqir. Aveva 18 anni e faceva il contadino, insieme alla sua famiglia formata da dodici persone.


La sua famiglia possedeva un terreno di 14 dunum [1 dunum palestinese equivale a 900 mq, ndr] che anche Hajj [titolo onorifico che indica chi ha svolto il pellegrinaggio – hajj – alla ‘Casa di Dio’, a Mecca, ndr] Hasan coltivava. Esso dava i frutti necessari per vivere, ma tutto venne interrotto dalla fuga provocata dagli usurpatori israeliani.


“Era una terra generosa e benedetta. Dava il grano, il mais, il miele, il laban [un prodotto caseario simile allo yogurt, ndr] e i migliori formaggi della Palestina fatti con latte di pecora. Inoltre, il nostro villaggio era famoso per la fabbricazione di tappeti, la cui lana era tratta sempre dalle nostre pecore”.


La notte funesta


Di quella notte funesta, che lo strappò dalla sua casa e dalla sua terra, Hasan racconta: “Alle cinque del mattino, le bande sioniste dell’Haganà (formazioni militari ben armate e ben addestrate) si raggrupparono ai limiti della cittadina, e in poco tempo piombarono sul villaggio cominciando ad uccidere e distruggere”.


Prosegue Hasan: “Gli uomini e i giovani del villaggio, insomma, chi poté, scappò… ma chi non ce la fece, come gli anziani, i bambini ed alcune donne, finì prigioniero per mano delle bande dell’Haganà: tutti radunati nella moschea del villaggio. A quel punto gettarono delle bombe nella moschea e spararono uccidendo tutti quelli che vi avevano messo dentro. Non vidi nessuno uscire dalla moschea: li avevano ammazzati tutti”.


Hajj Hasan riprende a raccontare sospirando: “Dopo di ciò, grazie al Cielo [al-Hamdu li-Llàh: lett. “La Lode spetta a Iddio”, ndr], io e la mia famiglia siamo riusciti ad uscire dalla cittadina, mentre quelle bande tiravano le bombe sulla moschea per uccidere i palestinesi che vi avevano rinchiuso. Così continuammo a camminare fino ad al-Migdal, alla frontiera settentrionale della Striscia di Gaza. Lì rimanemmo solo due giorni, ma quando sentimmo le notizie sulle bande sioniste che stavano avvicinandosi scappammo verso la Striscia di Gaza, dove ci sistemammo nel campo profughi di an-Nuseyrat, nella parte centrale della Striscia”.

Il certificato di proprietà della terra e la chiave di casa…


Con voce ferma, Hajj Hasan chiede ad uno dei suoi nipoti che sono intorno a lui ad ascoltare i suoi ricordi dolorosi di portare il certificato di proprietà della sua terra e la chiave della casa, diventata un simbolo dei loro diritti sulla terra da cui sono stati cacciati.


Con mani tremanti, Hajj Hasan apre i fogli che riguardano la sua terra, così vediamo i suoi dati personali e le informazioni che dimostrano che i suoi diritti: “Quanto mi auguro di tornare in quella terra… lavorarvi, mangiare dei suoi frutti ed esalare l’ultimo respiro là”.


E conclude: “Se non riuscirò a tornare, questi miei nipoti hanno preso l’impegno di completare l’opera e di non barattare la loro terra con tutto l’oro del mondo, perché presto o tardi si vedrà chi ha ragione e gli stranieri e i ladri saranno cacciati dalla nostra terra”.


Profughi espulsi


I profughi palestinesi sono circa 4,7 milioni, distribuiti tra i 59 campi profughi palestinesi ufficiali riconosciuti dall’UNRWA su terra palestinese (27 campi: 19 in Cisgiordania e 9 nella Striscia di Gaza) e nei Paesi arabi (12 in Libano, 10 in Siria e 10 in Giordania).


I profughi palestinesi in Giordania registrati dall’UNRWA sono il 41,8% del totale (di cui il 15,9% vive ancora nei campi profughi); quelli in Libano sono il 9,4% (di cui il 52,7% nei campi profughi); il 10% dei profughi palestinesi vive invece in Siria (qui il 26,6% si trova nei campi profughi).

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