lunedì 17 maggio 2010

All’origine della scrittura - I cavernicoli sapevano leggere


Di Stefano Serafini
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26 simboli, che si ritrovano uguali nelle grotte di Lascuax (25 mila anni fa) e in siti dell'Australia. Sermonti li ha interpretati come simboli astrologici, che poi avrebbero dato origine alla scrittuta.

La rivista New Scientist, «Il codice dell’età della pietra. Come non ci eravamo accorti dell’origine della scrittura», 20 febbraio 2010, ha recentemente dedicato la propria copertina a una rivoluzionaria scoperta: i dipinti sulle pareti delle grotte preistoriche erano accompagnati da un codice ricorrente di segni, 25.000 anni prima delle più antiche testimonianze alfabetiche. Le due implicazioni più immediate degli studi di Jean Clottes, già direttore delle ricerche a Chauvet, e
del grande database di petroglifi francesi datati tra i 35.000 e i 10.000 anni da oggi, realizzato da Genevieve von Petzinger e April Nowell dell’Università di Victoria (Canada), sono formidabili.

Innanzitutto, l’esistenza di una codificazione astratta nel Paleolitico superiore (i segni hanno tra i 13.000 e i 30.000 anni), tradizionalmente ritenuto «muto» se non per i grandi affreschi a soggetto animale come Altamira o Lascaux, o per incisioni anamorfiche (calendariali?) su manufatti. Ma poi la sbalorditiva diffusione del medesimo insieme di segni in tutto il mondo, che ad alcuni, come al professor Iain Davidson dell’Università del New England, fa pensare all’improvvisa «emersione», circa 40.000 anni fa, di una trasformazione cognitiva strutturale nella razza umana.

Più che a una scoperta - come spesso avviene nella scienza - siamo di fronte a una riscoperta. Le studiose che hanno confrontato i 26-29 segni ricorrenti sulle pareti di antiche grotte australiane, asiatiche, europee, americane ed africane, ammettono che l’attenzione verso le grandiose pitture a soggetto animale e venatorio avrebbe «distratto» i ricercatori precedenti dal riconoscere l’importanza dei piccoli e costanti segni che le accompagnavano.

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